Come ho gestito l’ansia durante pandemia da Covid-19

Ultimo aggiornamento: 25.04.24

 

Dal 2020 il mondo è cambiato totalmente: per alcune persone ciò non ha influito più di tanto sul loro stile di vita, in attesa della riapertura. Per altre invece la vita si è trasformata in un incubo.

 

Sono sempre stata una persona piuttosto ansiosa e con gli anni, probabilmente anche per cause genetiche, la situazione è notevolmente peggiorata, tuttavia riuscivo in qualche modo a gestire l’ansia senza enormi difficoltà. Peccato che l’arrivo della pandemia abbia totalmente rotto questa sorta di equilibrio, anche se in realtà, tutto sommato, mi è stata d’aiuto per affrontare la vita in modo differente.

 

Gli ultimi mesi del 2019

La stragrande maggioranza della popolazione mondiale viveva normalmente e io ero appena giunta a un punto cruciale della mia esistenza: avevo lasciato un’attività che non mi stava dando nessuna soddisfazione ed ero alla ricerca di un altro impiego che potesse fare al caso mio. La mia ansia ha notevolmente influito anche su questo, poiché qualsiasi colloquio o prova di lavoro volessi compiere non mi sentivo mai sicura, anche se, nonostante ciò, riuscivo comunque a fare una buona impressione sui datori.

In questo periodo inoltre, stetti anche molto male: febbre alta da metà novembre e una tosse che è rimasta a farmi compagnia fino alla fine di febbraio, tuttavia, non avrei nemmeno lontanamente pensato che avrebbe potuto trattarsi di Covid-19. Non è stato facile, ma dopo alcuni mesi sono riuscita a trovare un impiego piuttosto stimolante e che non mi costringeva a farmi chilometri di auto per raggiungere la sede, poiché veniva svolto in smart working.

L’arrivo delle prime notizie dalla Cina

Ricordo ancora quando nel mese di febbraio io e le mie amiche scherzavamo sulla questione: “sarà come l’N1H1”, “ma sì, scommetto che è l’ennesima malattia strana come quella della mucca pazza che serve solo a fare notizia”, “vedrai che è solo una banale influenza”. Prendevo in giro anche i miei genitori, che vivono a 600 km di distanza da me, già parecchio angosciati della situazione a causa delle notizie allarmanti che davano su tutte le reti nazionali, di cui non mi preoccupavo affatto di ascoltare.

Io nel frattempo avevo iniziato il nuovo lavoro, dunque la mia mente era impegnata in ben altro, compreso un imminente trasloco che avrei dovuto affrontare da lì a breve. Purtroppo da lì a pochi giorni le cose, come ben sapete, sono peggiorate al punto tale da rendermi conto della gravità di ciò che stava per accadere.

 

Il lockdown

A marzo del 2020 vivevo in un piccolo paese dell’Emilia Romagna, una delle regioni più colpite durante la prima ondata del virus, dunque, il giorno 8 di quello stesso mese, la notizia della chiusura totale fu per me un grosso colpo. L’ansia non mi faceva dormire la notte, non riuscivo a pensare durante il giorno e cercavo di tenermi in qualche modo impegnata con il lavoro e le pulizie.

Per fortuna ero in smart working, perché l’idea di mettere piede fuori casa mi angosciava in modo terribile. Ciò però non bastava affatto a calmarmi, e avevo costantemente una sensazione di peso sul petto che mi faceva mancare il respiro. Non c’erano mascherine, i reparti di detersivi erano vuoti ed era diventato impossibile riuscire ad acquistare l’alcol etilico, ma per fortuna i miei genitori in Campania riuscirono a comprarne alcuni flaconi e a spedirmeli.

Ho avuto momenti di straniamento totale: la prima volta che sono andata al centro commerciale più vicino ho assistito a una scena che mai avrei immaginato di dover vivere, se non di fronte allo schermo di un cinema con un fumante sacchetto di pop-corn tra le mani. La fila infinita di carrelli, i volti coperti, i guanti in plastica, ma soprattutto il silenzio assoluto del luogo, le luci soffuse e un’unica voce proveniente dallo speaker che ci invitava a stare ad almeno un metro di distanza l’uno dall’altro. Durante quelle occasioni, e talvolta ancora oggi passeggiando tra le strade, ho dei momenti in cui mi sento come se tutto ciò non fosse reale, ma solo frutto di un brutto incubo.

Ho iniziato quindi a temere costantemente per i miei genitori, gli amici e tutti i miei parenti, e l’unico modo per cercare di non pensare alla situazione era pulendo casa. Lo facevo tutti i giorni, e quando ero costretta a uscire appena tornata lavavo tutto, anche la giacca, e cercavo di disinfettare qualunque cosa. L’aumento esponenziale dell’ansia ha provocato in me tanti altri problemi, tra cui la misofobia, ovvero la paura incontrollata dello sporco. Inoltre, non vivendo da sola ma con il mio compagno e un cane, ero terribilmente preoccupata anche per loro, tanto da costringere il primo a darmi i suoi vestiti, il cellulare, le chiavi e tutto ciò che fosse possibile disinfettare quando rientrava in casa.

Non volevo più uscire neanche per fare una passeggiata, un po’ per timore di incontrare le autorità, che tutti i giorni dalle otto del mattino si piazzavano vicino casa a multare chiunque fosse in giro, un po’ proprio per la preoccupazione di non riuscire a gestire una semplice camminata da sola.

Inoltre, abitare all’interno di un’area verde non ha fatto aiutato, considerato il divieto di poterci entrare, dunque a differenza di tante altre persone che invece ne approfittavano per portare in giro il proprio cane tante volte al giorno, io lo facevo solo la mattina presto prima dell’arrivo dei vigili, per poi lasciare il compito delle restanti uscite al mio paziente e comprensivo fidanzato. Insomma, ero rinchiusa in casa a lavorare e pulire costantemente, piangevo in continuazione, non chiudevo occhio durante la notte e, talvolta, mi è balenata l’idea di farla finita per paura di dover affrontare la situazione ancora a lungo o un eventuale contagio dei miei cari.

L’aiuto psicologico è fondamentale

Verso luglio, quando le Regioni erano ormai aperte, io avevo ancora qualche difficoltà a uscire di casa: per fortuna riuscì a vedere i miei genitori e altri parenti, senza però sentirmi mai totalmente sicura di andare a pranzo al ristorante o semplicemente di abbracciarli. Purtroppo però, considerato l’aumento esponenziale dei contagi, l’allegria è durata ben pochi mesi e verso la fine settembre mi sono resa conto che non avrei potuto affrontare di nuovo un altro lockdown senza nessun sostegno.

Ed è per questo che ho deciso di chiedere aiuto a una figura professionale, qualcuno che potesse darmi un supporto psicologico nei momenti in cui io non riuscivo più a gestire lo scorrere dei pensieri spiacevoli e degli oscuri presagi, che vagavano oramai da un anno nella mia mente. Il covid ha incrementato lo sviluppo di attività a distanza dunque è stato facile trovare uno psicoterapeuta che potesse prendermi in cura effettuando delle sedute online. Oggi l’ansia c’è ancora, ma grazie al lavoro che sto svolgendo insieme a questa persona mi sento decisamente più forte nell’affrontare alcune situazioni per me molto difficili.

La mia storia vuole essere da monito per tutti quelli che non hanno il coraggio di iniziare un percorso simile, per paura dei pregiudizi e per il timore di essere etichettati come “diversi”.
Ciò che stiamo affrontando da oramai più di un anno è una situazione che nessuno si sarebbe mai aspettato di dover vivere, che ha avuto un impatto anche su chi si riteneva psicologicamente più forte degli altri.

 

 

 

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